Dell’umiltà non so cosa farmene.
Come noi tutti sappiamo, l’umiltà è una di quelle virtù che i manager e gli imprenditori – e quindi le loro imprese – non amano pur avendone un bisogno vitale.
Le “buone prassi” professate e incoraggiate dalle organizzazioni imprenditoriali si nutrono dell’anti-umiltà.
Per fare carriera ed essere valorizzati occorre mettere in mostra i propri meriti, ostentare mentalità e atteggiamento “vincenti”, essere più ambiziosi degli altri colleghi concorrenti.
La nostra cultura, infatti, sempre più impregnata di modelli aziendali aggressivi e competitivi, non riesce a vedere la bellezza, il valore e i vantaggi di praticare l’umiltà.
Ti starai chiedendo: a che serve desiderare di essere una persona umile?
E ti rispondo: Serve a vivere una vita buona, utile al Bene Comune.
Certo! Una persona desidera essere umile se ha interesse a vivere una vita buona.
E se ti stai chiedendo il perché vivere una vita buona serve all’impresa, ti dico che la risposta la troverai se saprai leggere attentamente e sino alla fine questo articolo, senza applicare i filtri dei tuoi modelli mentali.
Per il momento sappi che il desiderio di umiltà è già umiltà.
Cos’è l’umiltà
L’umiltà è una virtù relazionale: sono solo gli altri che possono e devono riconoscere la nostra umiltà, e noi riconoscere la loro, in un gioco di reciprocità che costituisce la grammatica della vita buona.
L’umiltà è invisibile ma realissima. I suoi frutti sono inconfondibili.
Il primo è la gratitudine sincera, nei confronti del lavoro, della vita, degli altri, che nasce dalla consapevolezza che i nostri talenti (quelli che in azienda chiamano competenze, anche se sono molto di più), sono un dono ricevuto. L’umiltà è prendere atto della verità sul mondo e sulla vita. Perché ciò che siamo e possediamo lo abbiamo semplicemente ricevuto dalla generosità della vita.
Tutto è dono. Ma per arrivare a quest’atto naturale e radicale di gratitudine è necessario un esercizio etico di amore alla verità, che dura tutta l’esistenza, e termina quando ci si congeda, da questo mondo.
Ti sarai accorto che la persona umile è sempre grata. I suoi grazie nascono dalla consapevolezza della bellezza e della bontà di chi gli vive accanto.
Il secondo frutto è la capacità di chiedere scusa e dire perdonami.
Come sai in azienda (come anche in famiglia o tra amici) ci sono dei conflitti che non si sanano perché ciascuno è soggettivamente convinto di essere interamente dalla parte della ragione e così attende che sia l’altro a chiedergli scusa.
Ma poiché la certezza della ragione è reciproca, si resta sospesi in trappole relazionali che finiscono per fare danni.
Per uscire da queste trappole c’è bisogno che almeno una persona delle due sia umile, cioè capace di chiedere scusa anche quando pensa di non essere lui il responsabile del conflitto – e magari non lo è veramente.
La persona umile fa il primo passo perché gli interessa più ricostruire il rapporto, che venire a conoscenza di chi sono “colpe e responsabilità”. Perché? Perché chi è veramente umile capisce da subito che solo dopo avere risanato il rapporto sarà possibile ricostruire la verità sui fatti accaduti.
Pronunciare le parole scusa e perdonami é particolarmente difficile, e quindi molto prezioso, nei rapporti gerarchici che vi sono all’interno di una organizzazione.
Fare gruppo con l’umiltà
È difficile dire con umiltà scusa al nostro capo: è molto più semplice non dire nulla. In molti casi lo si dice per paura o per opportunismo.
Ma è ancora più difficile per un manager o un imprenditore chiedere scusa a un proprio dipendente. Nessun regolamento dell’impresa e nessun codice etico glielo chiedono. Ma una parola come scusa detta da un manager a un lavoratore della sua squadra dà qualità etica e umana all’intero gruppo di lavoro.
Fai bene attenzione, mio caro, sono queste parole che creano spirito di solidarietà e persino di fraternità nel gruppo di lavoro. Solo se il gruppo si esercita a pronunciare queste parole, e quando i suoi membri sentono di essere uguali prima delle differenze di stipendio e di responsabilità, riesce a dare tutto nei momenti di difficoltà.
Un grazie e uno scusa sinceri e umili detti da un manager generano più spirito di gruppo di cento corsi di “team building” o “motivazionali”. Lasciatelo dire da chi, come me, che viene chiamato spesso nelle azienda ad erogare questo tipo di attività formativa.
Perdenti o vincenti?
Ma torniamo a parlare di come il mondo d’oggi interpreta l’umiltà.
Anche se l’umiltà – come altre parole grandi della vita – rende più forti e resistenti, agli occhi degli altri appariamo più vulnerabili.
Ringraziare e chiedere scusa nella verità fa comparire i manager e dirigenti più fragili in un mondo dove l’invulnerabilità è il primo valore.
L’umiltà ci rende più forti perché ci mette nelle condizioni di mostrare palesemente e senza vergogna e paura le nostre ferite – propria e dell’altro – per volerle curare.
E quindi che facciamo? Per amore del nostro orgoglio e della nostra invulnerabilità e delle altre leggi dell’impresa non vogliamo guarire le ferite?
Sappiamo bene che le ferite delle persone sono le ferite dell’intera organizzazione. Non avrebbe interesse anche l’impresa a guarire le ferite?
Se le ferite sono nascoste e non si guariscono, si infettano, e intossicano tutto il corpo aziendale. Conosci i danni che provocano le ferire non guarite? Inefficienza, scarsa qualità del lavoro e dei prodotti, tempi di consegna che si allungano, clienti che si perdono, utili che diminuiscono….
Il mondo aziendale occidentale soffre una grave povertà di nuove classi dirigenti perché ci manca tremendamente la cultura dell’umiltà, cancellata da prassi e ideologie ispirate all’anti-umiltà, dove l’umile è soltanto un “perdente”.
Insegnare la leadership con l’umiltà
E’ da tempo che quando entro in una azienda cliente mi impegno a realizzare una prima lezione sull’umiltà.
Una lezione che, penso, dovrebbe essere realizzate in tutti i corsi di leadership.
Una lezione che manca ovunque per mancanza di veri docenti (maestri) e perché si ritiene che l’umiltà non può essere insegnata nelle business school; ma soprattutto manca perché si ha una grande paura che se si iniziasse a lodare l’umiltà e le sue sorelle (la mitezza, la misericordia, la generosità…) l’intera cultura della leadership con le sue tecniche verrebbe completamente ribaltata. E forse… gli attuali formatori e consulenti resterebbero a casa senza lavoro.
Ti dico infine che l’umiltà educa alla sequela. Un buon capo che non sia stato previamente formato alla sequela non sarà mai una buona guida, mai un leader.
Pensa ora all’attuazione di un difficile Piano Strategico Aziendale e le tante prove e difficoltà che si devono superare.
Hai idea senza umiltà cosa succederebbe?
L’umiltà è fondamentale per superare qualsiasi crisi, qualsiasi difficoltà. Senza umiltà non si raggiunge nessuna eccellenza umana, nessun traguardo aziendale, non si apprende bene nessun mestiere, non si diventa mai veramente adulti, non si vive nessuna vita buona.
Roberto Lorusso Fouder e Ceo Duc in altum srl