La Regola benedettina è il mio grande riferimento ogni qualvolta desidero parlare di modelli funzionali delle imprese. Ma molto più quando parlo d’impresa familiare, perché di essa ricordo una saggezza antica, ancora attuale, per noi che ci ritroviamo ad affrontare sfide sempre diverse e sempre più complesse.
Nata 1500 anni fa circa per volontà di San Benedetto, la regola serviva per il buon governo di monasteri sia in termini relazionali, sia spirituali, sia di lavoro materiale.
Questo è il motivo del famoso motto “Ora et Labora”.
Quando qualche mio cliente vive al suo interno i “grandi problemi” di “convivenza generazionale” io mi rifaccio sempre al condensato di saggezza della Regola di San Benedetto.
E questo perché la regola riporta, in uno spirito profondamente pratico, tutto quello che concerne lo scorrere della vita in una impresa:
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- la relazione (dimensione immateriale) e
- il lavoro (dimensione materiale).
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Tutte le mie risposte (soluzioni ai tanti problemi aziendali che mi vengono sottoposti) partano sempre da una competenza: l’ascolto.
Una competenza che una volta era molto ben praticata nelle aziende familiari ma oggi molto dimenticata. Infatti, come è spiegato nella Regola, insegno ai miei clienti “la capacità di ascoltare per essere ascoltati”.
Inoltre sono profondamente convinto che è impossibile saper ascoltare gli altri se prima non impariamo ad ascoltare noi stessi nella nostra profondità e corporeità.
L’esempio a cui sempre mi riferisco è quello del monaco benedettino: è impossibile per il monaco ascoltare Dio se prima non ha imparato ad ascoltare i fratelli, quindi gli altri uomini, ma soprattutto se prima non ha imparato ad ascoltare se stesso.
Questo implica che nel “sapersi ascoltare” va posta un’attenzione ancora maggiore.
Cosa voglio dire?
I problemi di convivenza generazionale nell’ impresa familiare sono problemi legati all’ascolto.
La mancanza di ascolto non permette alle persone dell’impresa di condividere i “sogni” individuali che a loro volta sono frutto dell’ascolto di se stessi.
Se non ascolto me stesso non sono capace di generare sogni di futuro per la mia impresa da condividere con i miei familiari.
Per un buon ascolto bisogna poi saper fare una cosa importante: eliminare il rumore.
Nella comunicazione è proprio il rumore che può rendere incomprensibile o poco chiaro un messaggio tra emittente e ricevente.
Di che rumore parliamo? Ma di quello forte che tuona nei processi aziendali. Una componente fondamentale della mia metodologia di Pianificazione Strategica è l’azione di “visioning” che effettuo sempre fuori dall’azienda proprio per non ascoltare i rumori.
Niente di originale, di fatto copio San Benedetto.
Utilizzo questo sistema semplice, che forse oggi è diventato un po’ complicato da raggiungere: il silenzio.
Porto i miei clienti in un rifugio in montagna o in una villa al mare.
Non dico nulla di strano se affermo che la dimensione del silenzio è pressoché inesistente nella nostra società e nei nostri ambienti di lavoro e forse anche in famiglia.
Quello che accade nelle imprese è purtroppo molto simile a quello che osserviamo in un qualunque talk show quando è evidente come sia usuale l’impedire all’altro di esprimere le proprie opinioni ed il metodo più pratico per “uccidere” il dialogo è di zittire l’altro urlando sopra la sua voce.
In questo modo la capacità di ascolto è ridotta a zero e solo chi sarà capace di sopraffare l’altro avrà raggiunto lo scopo.
Ma dove si dirige una impresa familiare quando non vince la condivisione ma la sopraffazione?
Conosci quanto sia elevato questo modo di fare nell’ imprese familiare?
Tanto, tanto, e molto di più che nelle imprese a conduzione manageriale.
I fallimenti di molte imprese familiari di oggi non è la mancanza di mercato ma la mancanza di ascolto tra i componenti.
L’ascolto nell’impresa familiare
Per questo desidero continuare a parlare approfonditamente di questa competenza riprendendo la regola benedettina. L’esercizio dell’ascolto per il benedettino va di pari passo a quello del silenzio. Per questo i monasteri sono silenziosi: devono impedire al rumore di rovinare l’ascolto.
In questo contesto la parola diventa talmente importante che quando viene proclamata è sempre accompagnata da gesti che la rimarcano: per esempio al termine di ogni preghiera ci si inchina per dare valore a quanto si è appena letto o cantato.
Nelle imprese siamo soliti accompagnare le nostre idee con presentazioni power point o filmati.
Ma in assenza dobbiamo praticare un buon ascolto per cogliere i segni caratteristici anche in una comunicazione pacata, inclusa quella corporea così da leggere tra le righe il vero significato.
Come imparare ad essere buoni ascoltatori usando la Regola benedettina?
- Fare silenzio “dentro” allontanando e mettendo a tacere preconcetti e soprattutto giudizi;
- Porsi con calma e fiducia delle domande alle quali spesso non c’è risposta immediata;
- Domandare.
Chiedere anche con insistenza senza aspettare risposta in quanto, sempre nella visione monastica, questa arriverà più tardi, con naturalezza.
Ascoltare, lo sappiamo, a volte è una necessità, a volte una virtù, a volte una professione, a volte una disciplina. Le persone di una impresa familiare che cercano il successo devono imparare a vivere questa apparente contraddizione:
ascoltare meglio e molto di più parlando il meno possibile e dando un valore altissimo a tutto quello che si dice per rispettare di più chi lo deve ascoltare.
Spero ti sia giunto questo insegnamento profondo che valorizza la necessità di re-imparare ad ascoltare con l’umiltà, di voler sempre conoscere cose nuove lasciando i giudizi personali solo al termine del percorso.
Non permettere al successo di restare nelle parole che non hai ascoltato.
Roberto Lorusso
Founder and Ceo Duc In Altum srl
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