In questo ultimo anno mi è capitato di fare diversi incontri con colleghi che purtroppo, a causa della crisi di mercato, hanno qualche problema di tenuta e molto spesso di empowerment.
Tra questi non sono mancati imprenditori titolari di imprese un tantino più grandi di quelle che siamo abituati a chiamare PMI.
Vi racconto cosa mi è capitato di recente in una grande impresa.
E’ lunedì pomeriggio. Michele mi chiama e mi chiede di incontrarlo con una certa urgenza per giovedì alle 9,30.
Non me lo ricordavo così determinato visto che non mi ha dato alcuna possibilità di replica.
Giovedì – ore 9,20 – sono alla reception della sua bella azienda. Mi avvicino e vedo una signora (40 anni circa) che leggeva una rivista. Tutto tace e visto che ignorava la mia presenza ho tossito per darle un segnale della mia presenza.
“Buongiorno” – mi dice a testa bassa senza distogliere lo sguardo dalla rivista – il suo linguaggio del corpo mi stava dicendo: “Chi è che disturba? Non vede che sono occupata!”
Le dico “buongiorno” – con tono della voce alto e interessato – “mi chiama Roberto Lorusso ed ho un appuntamento con l’amministratore delegato alle ore 9,30.”
La signora alza lo sguardo lentamente, mi guarda con sospetto e mi dice – “come ha detto che si chiama?”
“il mio nome è Roberto Lorusso”
“chi ha detto che vuole vedere?”
“l’amministratore delegato, il dott. Michele Mucci”
“ha un appuntamento?”
“si alle 9,30”
“ho capito, attenda un attimo” – La signora chiama al telefono la segretaria di Michele e con voce alta, facendo in modo che io sentissi, dice – “Carmela, c’è un signore qui. Dice di avere un appuntamento con Mucci”
Carmela chiede – “sai come si chiama?”
“no, non lo so, ora glielo chiedo” – e rivolgendosi a me dice – “come ha detto che si chiama?”
Le ripeto per la terza volta il mio nome.
“Dice di chiamarsi Lorusso”.
Chiuso il telefono la signora mi chiede un documento di identità e poi mi dice – “attenda qui, qualcuno verrà a prenderla”.
Finalmente vedo venirmi incontro la segretaria di Michele, la signora Carmela.
Accompagnato nella stanza di Michele vengo accolto così:
“Roberto, grazie di essere venuto. Ho un grave problema a causa della crisi economica europea”.
La mia risposta immediata: “Non mi sorprende, hai l’Europa in casa”.
“Scusa non capisco” dice Michele con uno sguardo insospettito.
Gli chiedo: “Michele qual è la cosa più grave: la crisi economica o la crisi di responsabilità che permea la tua azienda?”
“Ma cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che sono stato appena travolto da un fiume di ….” E gli racconto l’episodio.
Questa esperienza non è una storiella inventata, è vera… ma raccontata con grazia.
Non è di qualche anno fa, è di qualche settimana fa.
Capita molto spesso di pensare che i problemi o le minacce vengano da problematiche esterne, mentre non ci accorgiamo che spesso sono all’interno.
Diagnosi da mancanza di Empowerment
La minaccia di cui vi sto parlando è la mancanza di “empowerment” cioè di “responsabilità”, che normalmente si fa accompagnare da una carenza di energia positiva, spirito di iniziativa e lealtà.
Come puoi riconoscere se la tua azienda è affetta da questa malattia?
Le persone con scarso empowerment:
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- non hanno iniziativa, sono spettatori passivi di ciò che accade in azienda;
- non parlano con gli altri, ma degli altri;
- sono dispiaciute quando le cose non procedono secondo i loro piani;
- hanno un atteggiamento mentale rigido e conservano le loro idee;
- se hanno un po’ di energia la usano per andare contro qualcuno o qualcosa;
- quando le cose vanno male è sempre a causa di qualcun altro o di circostanze non controllabili;
- gli altri (interni o esterni all’azienda) vengono trattati con indifferenza;
- vedono solo problemi e mai opportunità;
- parlano sempre del passato e mai del futuro;
- aspettano e sperano che le cose cambino in meglio senza far nulla;
- non hanno uno scopo per cui dare il loro impegno.
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Da chi dipende tale mancanza di empowerment?
Io rispondo con assoluta certezza: da chi le ha assunte. Ed ovviamente da chi le dirige.
O meglio, dall’attenzione e dall’importanza che le persone ricoprono in azienda e dal modo in cui vengono gestite.
Insomma da quello che noi chiamiamo top management, capo, titolare, ecc..e dalla tipologia di leadership e di cultura aziendale.
Vuoi scoprire cosa ho detto a Michele per risolvere il suo problema di “crisi di mercato”?
Gli ho detto che è urgente fare in modo che nella sua azienda le persone seguano un percorso di empowerment:
[unordered_list style=”tick”]
- per metterle nelle condizioni di dare il massimo di sé per l’azienda;
- per aiutarle a focalizzarsi sulle opportunità piuttosto che sui problemi, sul futuro piuttosto che sul passato;
- per renderle orgogliose di lavorare per l’azienda;
- per renderle parte delle soluzioni e non dei problemi;
- per cui il lavoro consenta di vivere la “gioia di lavorare”;
- per favorire un clima in cui si aiutino e si incoraggino a vicenda;
- per renderle multifunzionali e aperte alle innovazioni;
- affinché lavorino con un forte spirito di squadra e voglia di raggiungere gli obiettivi;
- affinché siano attori protagonisti del successo (e non spettatori);
- perché siano destinatari e mittenti di una comunicazione chiara, franca, leale, che si basa sulla fiducia reciproca ;
- affinché utilizzino positivamente tutta la loro energia.
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L’azienda di Michele come molte altre ha bisogno di empowerment.
Con il termine empowerment viene indicato un processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale.
Concludo questo articolo con l’invito a riflettere sulla tua azienda chiedendoti di rispondere:
Da cosa pensi vengano maggiormente influenzati i comportamenti delle tue persone?
Dalla tecnica fatta di sistemi, metodi, tecnologie, ecc. o…dalle emozioni; comunicazione, clima, etica, sicurezza, relazioni, ecc.?
E’ più facile acquisire una nuova nozione tecnica o un nuovo comportamento?
Chi fa fallire i nostri progetti?
Una istruzione tecnica mal fatta o un comportamento che ignora volutamente le istruzioni?
Un pessimo business plan o un luogo di lavoro poco sicuro e accogliente?
Insegniamo la responsabilità, insegniamola con l’esempio e favoriamo l’empowerment della nostra organizzazione.
L’acceleratore del successo si chiama empowerment.
Roberto Lorusso
Founder and Ceo Duc In Altum srl
2 thoughts on “L’acceleratore del successo si chiama Empowerment”
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