Ogni qualvolta mi trovo a frequentare persone di una impresa familiare, mi rendo conto quanto sia difficile la copresenza.
Dovrebbe essere esattamente il contrario, ma c’è sempre qualcosa che non permette a generazioni diverse di lavorare in armonia.
Cosa accade?
Sono ormai certo che genitori e figli vivono poco il presente. Gli adulti perché ancorati al passato, i giovani perché proiettati nel futuro.
Questo loro atteggiamento ovviamente si proietta in modo diretto sulla quotidianità e soprattutto sul loro modo di comunicare: chi vive nel passato fa sempre riferimento a quanto realizzato anni prima e su cosa non si sarebbe dovuto fare, mentre chi vive nel futuro non spreca un attimo per cercare di spiegare cosa si potrebbe fare per raggiungere i futuri obiettivi.
In entrambi i casi le persone sono schiave di un tempo che “non vivono” e quindi non comunicano in modo efficace con l’aggravante di pensarsi non più adeguati o incompresi.
Il mio puntuale insegnamento è invece teso affinché si viva in consapevolezza il presente, la realtà del proprio tempo.
Questo non significa che non bisogna farsi illuminare da una visione di futuro, o che non bisogna farsi aiutare dalle esperienze del passato. Dico che entrambi, futuro e passato, sono in un presente, l’ “oggi”.
La convivenza generazionale nell’impresa familiare si realizza nel “qui ed ora”. E’ un dovere che si riflette in ogni azione e che va ad influenzare i risultati dell’impresa familiare, per effetto di un’errata impostazione relazionale ma anche e soprattutto per una mancanza di comunicazione.
I giovani di oggi sanno parlare abbastanza bene, linguaggio forbito ed inglesizzato, gli adulti sanno “predicare” abbastanza meglio.
Ognuno di noi infatti pensa che “saper parlare” significhi automaticamente anche “saper comunicare”. Proprio la Regola benedettina di cui ho parlato in un precedente articolo, sottolinea invece che la comunicazione non è solo un fattore legato alla parola, ma ad un sistema di vita.
Molto spesso l’impresa familiare che tende a superare questo modello organizzativo (privo di processi strutturati e ruoli gerarchici o funzionali) per tendere ad uno manageriale (tipico delle grandi imprese) si preoccupa solo di instaurare una comunicazione formale attenta alle competenze specifiche, pensando che questa sia sufficiente. Ovviamente non basta.
Nella maggior parte dei casi, infatti, le persone trascurano che la comunicazione è, di fatto, un continuo apprendimento.
Dico sempre ai miei clienti:
non basta saper parlare tra pari, devo saperlo fare anche con chi è diverso da me.
La differenza può essere l’età, come tra parenti nelle imprese familiari, oppure può essere di ceto sociale, o economica o geografica (nel caso di collaboratori interni o esterni).
Nessun membro dell’azienda può chiamarsi fuori da questo sforzo di apprendimento: è un impegno preciso che sicuramente rende il “piccolo mondo” a cui apparteniamo qualcosa di migliore, fatto di cambiamenti continui, in continua evoluzione e teso al coinvolgimento totale.
Ti starai chiedendo:
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- Come sarà passibile che il giovane spieghi e faccia comprendere all’adulto nell’impresa familiare le sue idee innovative?
- Come far valere l’iniziativa personale?
- Come far comprendere al giovane le virtù della temperanza e della solidarietà?
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Risposta: con una buona comunicazione rafforzata dal senso di reciprocità che lega l’uno all’altro, “di dare e avere”, di “chiedere e ottenere” come in un cerchio, in cui ognuno dà e riceve qualcosa da qualcuno.
Spesso nella comunicazione apriamo uno spazio solo ai contenuti o solo alle persone che li espongono.
Il mio consiglio è di non scinderli mai perché il contenuto di qualsiasi discorso privato non ha senso di esistere a prescindere dalla coerenza di chi lo espone.
Per questa ragione è importante ascoltare e parlare in una dimensione fatta unicamente di presente.
La parola ha valore nel preciso nell’istante in cui è comunicata e condivisa, prima che il processo cognitivo e culturale ne elabori il senso e il significato e la porti su un piano diverso.
In questo modo, le diverse generazioni presenti nell’impresa familiare capiscono quanto sia importante vivere la realtà senza introspezioni colpevolistiche o scenari futuri poco realizzabili, ma su una realtà il più chiara possibile in cui si è consci dei propri punti di forza e di debolezza e che per questo si è disposti a rimettersi in discussione.
Adesso che ti scrivo queste cose passano nella mia mente le immagini di una grande famiglia di imprenditori, mi riferisco a quella di Adriano Olivetti. In azienda dal padre come figlio e operaio, poi come imprenditore, e ancora come genitore.
Se vuoi spaerne di più su questa figura eccezionale ti consiglio di leggere questo mio articolo a riguardo che ben si lega a quanto ti ho raccontato.
Per concludere: quando le persone imparano a comunicare comprendono come in azienda non ci sono vincitori o vinti e che, molto spesso, il silenzio è il miglior terreno di gioco e “l’amore esigente” è la migliore strategia.
Roberto Lorusso
Founder and Ceo Duc In Altum srl